I MILLE PERCHÉ - OTTICA - LA LENTE E LE SUE APPLICAZIONI

PERCHÉ LA LENTE INGRANDISCE LE IMMAGINI?

Qualunque corpo trasparente, limitato da superfici curve, è una lente. In pratica si usano come lenti dischi di vetro di piccolo spessore, convergenti nella maggior parte delle applicazioni, più consistenti, cioè, al centro che non ai lati. Che cos'è la lente? La lente è una «fabbricante d'immagini»: quando è attraversata da raggi di luce provenienti da un oggetto, paralleli al suo asse ottico, li devia verso uno stesso punto, detto «fuoco» della lente, e, continuando essi il loro cammino, proietta l'immagine dell'oggetto, ingrandita.
Attraverso una lente convergente noi possiamo aumentare la grandezza apparente di un oggetto: basta porre l'oggetto da osservare tra la lente e il suo fuoco, molto più vicino a questo che a quella e avvicinare l'occhio alla lente: essa forma un'immagine virtuale dell'oggetto molto grande e lontana che il nostro occhio può percepire senza alcuno sforzo di accomodamento.
Noi abbiamo, guardando un oggetto attraverso una lente convergente, un'immagine «virtuale» dello stesso: in una parola, siamo vittime di una illusione ottica. Eppure, quante scoperte deve l'uomo a questa fabbricante d'illusioni, a questo corpo trasparente ed alle sue magiche proprietà! Alla lente, infatti, ed alle sue molteplici possibilità di applicazione l'uomo deve la scoperta del mondo microscopico e la maggiore conoscenza dell'universo che lo circonda. La lente ha reso possibile l'osservazione degli astri, del sistema solare, degli altri sistemi e ci ha consentito di avvicinare la materia nei suoi più piccoli e fondamentali componenti strutturali.

PERCHÉ LA LENTE PUO' ACCENDERE IL FUOCO?

Quando abbiamo parlato delle tipiche proprietà della lente convergente, abbiamo visto come questo corpo trasparente, di uno spessore notevole verso il centro e degradante verso i bordi, possa concentrare i raggi di luce paralleli al suo asse ottico e perpendicolari alla sua superficie in un punto detto «fuoco».
Se volete una dimostrazione visiva del «fuoco» di una lente, basta esporla al sole e fare in modo che i raggi che l'attraversano si concentrino su un oggetto, ad esempio un foglio di carta.
Noterete allora un disco luminoso dalle dimensioni variabili in rapporto alla distanza tra la lente e il foglio.
Regolando opportunamente questa distanza possiamo far assumere al disco luminoso le più piccole dimensioni; il punto di massima concentrazione di raggi, allorché allontanando ancora il foglio il disco luminoso torni ad ingrandirsi, rivela l'esatta posizione del «fuoco» della lente. In questo punto i raggi del sole sono concentrati e concentrata è quindi la loro energia termica: in breve il calore sviluppato provoca nella carta un foro delle dimensioni del «fuoco» della lente da cui si elevano lingue di fiamma che finiscono per bruciare il foglio.

PERCHÉ IL MICROSCOPIO CI PERMETTE DI VEDERE COSE PICCOLISSIME?

Uno strumento che rappresenta un vero e proprio trionfo dell'ottica applicata è il microscopio, la cui invenzione ed il cui perfezionamento hanno schiuso ai nostri occhi un mondo fino a poco tempo fa sconosciuto, rendendo possibili l'osservazione e lo studio di organismi piccolissimi, invisibili ad occhio nudo, ed aprendo la strada alle più clamorose conquiste della biologia. Nello stesso tempo ci ha dato la possibilità di studiare la complessa struttura molecolare della materia. Schematicamente il microscopio è formato da una piccola lente convergente detta obiettivo (che in pratica non è mai una semplice lente ma un costoso e complesso sistema di lenti costruito in modo da ottenere immagini esenti da aberrazioni) e da un'altra lente (in pratica un buon oculare): l'obbiettivo e l'oculare sono collocati ai due estremi di un tubo di misura opportuna. L'oggetto da osservare viene posto su un vetrino e fortemente illuminato da una sorgente luminosa sottostante, spesso tramite uno specchio concavo che concentra i raggi luminosi sull'oggetto. Il vetrino viene fissato su un piano, detto «tavolino», facente parte dello strumento.
L'obbiettivo, in fase di osservazione, funziona come una lente a corto fuoco e forma l'immagine reale dell'oggetto tra sé e l'oculare. Questa immagine è però ancora troppo piccola perché il nostro occhio possa vederla, poiché l'oggetto che osserviamo ha dimensioni microscopiche!
A questo punto interviene l'oculare, altra lente d'ingrandimento, che proietta un'immagine virtuale distante ed ingrandita.
L'ingrandimento di un microscopio siffatto non può superare un certo limite, limite che si riferisce al cosiddetto «potere separatore» dello strumento, alla proprietà cioè di far vedere separati due punti vicini.
Il miglior microscopio arriva a separare due punti distanti un decimo di micron, non oltre, il che corrisponde ad un ingrandimento di circa ottocento volte.
Per andar più in là, per vedere molto di più, occorre rinunciare alla luce normale e scegliere un'altra fonte separatrice: questo nuovo agente è costituito dai «raggi catodici» che non sono raggi di luce ma più propriamente delle «traiettorie» di elettroni. È nato così il microscopio elettronico che ha permesso ingrandimenti veramente iperbolici, fino a duecentomila volte ed oltre.
Schema di un microscopio

PERCHÉ IL CANNOCCHIALE AVVICINA GLI OGGETTI?

Non sono soltanto gli oggetti microscopici ad avere una grandezza apparente troppo piccola in rapporto alla capacità visiva dei nostri occhi: una nave, un uomo, un campanile o un pianeta possono avere una grandezza apparente tanto ridotta da non risultare visibili: ciò avviene quando sono molto lontani dai nostri occhi. Per poterli osservare e studiare da vicino si utilizza un altro strumento, anch'esso fondato sulle straordinarie proprietà delle lenti: il cannocchiale. Il cannocchiale è il fratello maggiore del microscopio ed anch'esso è formato da un sistema di lenti, l'obbiettivo, che ci dà un'immagine reale dell'oggetto, e da un altro sistema di lenti, l'oculare, che proietta un'immagine virtuale ed ingrandita della stessa.
Ma se l'obbiettivo di un microscopio e tanto minuscolo quanto sono minuscoli gli oggetti per la cui osservazione è destinato, il cannocchiale può avere dimensioni enormi ed obbiettivi del diametro di un metro e più.
Vi sono vari tipi di cannocchiale ma, per spiegare il principio del suo funzionamento, ci riferiamo al semplice cannocchiale astronomico detto «telescopio diottrico» per distinguerlo dal telescopio catottrico che ha come obbiettivo uno specchio concavo.
Nel cannocchiale astronomico l'obbiettivo A, di lunga distanza focale, fornisce un'immagine dell'oggetto reale, capovolta e molto piccola.
L'oculare B proietta illusoriamente di fronte al cannocchiale un'immagine virtuale, anch'essa capovolta e ingrandita, dandoci la netta sensazione che l'oggetto che stiamo osservando si sia avvicinato.
In un cannocchiale astronomico l'ingrandimento è dovuto all'opportuna scelta delle distanze focali dell'obbiettivo e dell'oculare: per questo il cannochiale ha sempre una notevole lunghezza e un obbiettivo di notevole diametro per poter raccogliere più luce possibile e fornire così una immagine il più possibile luminosa.
Come abbiamo detto, il cannocchiale sopra descritto fornisce degli oggetti un'immagine capovolta. Per gli astronomi questo non è molto importante ma è fonte di fastidio e d'imbarazzo per chi deve utilizzarlo per osservare e avvicinare oggetti sulla Terra.
Per ottenere un'immagine diritta vi sono vari modi: uno consiste nell'inserire tra l'obbiettivo e l'oculare un'altra lente convergente che capovolga l'immagine capovolta. Questi cannocchiali oggi sono poco usati perché l'aggiunta della lente interna ne fa di molto aumentare la lunghezza; un altro, nell'inserire tra l'obbiettivo e l'oculare una coppia di prismi a riflessione totale che riflettendo in quattro successive fasi parziali l'immagine, ne determinano il completo rovesciamento.
Questo e il principio su cui si basano i comuni binocoli da campagna.